Parola – VieDiFuga – Alla Ricerca della Bellezza Perduta

Chi dice che un’immagine vale mille parole, semplicemente non conosce le parole…

Ascanio Celestini suona bene

Il comico-filosofo brilla in una serata magica per “Luglio suona bene” all’Auditorium Parco della Musica di Roma
 dal nostro inviato Salvatore Fortugno

Roma, 21 luglio 2009.

Grande serata di spettacolo, quella di ieri all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove uno straordinario Ascanio Celestini si è esibito nell’insolita veste di “cantattore”, portando in scena lo spettacolo “Canzoni Impopolari”, che raccoglie i brani pubblicati nel suo primo CD “Parole Sante”.

Alle 21 e una manciata di minuti, quando la band entra in scena, la cavea dell’auditorium è quasi al limite del tutto esaurito per questo eclettico personaggio del panorama teatrale italiano, che definire semplicemente “attore” a questo punto, appare piuttosto riduttivo.

Lo spettacolo comincia con Ascanio che impugna un megafono in mano all’urlo di “benvenuti nel paese di monnezza” mentre la sua band costruisce un sottofondo di fraseggi jazz; poi, posato il megafono, inizia a raccontare in una forma che è a metà fra il monologo e la canzone.

Fin dalle prime note si intuisce che la musica non sarà un semplice sottofondo ma anzi, avrà la sua parte importante; si capisce che non sarà un sorta di “cabaret”, come qualcuno poteva immaginare. Lo dimostrano le “insolite” scelte relative alla strumentazione. La batteria (Marco Ariano), la chitarra (Matteo D’Agostino) classica ed elettrica, quest’ultima spesso piuttosto hard-rock  a conferire suoni distorti, esasperati. Il violoncello elettrico che insieme alla batteria costituisce la sezione ritmica, emulando il contrabbasso, per poi assumere le melodie e le arie tipiche del violino quando il bravissimo Roberto Boarino impugna l’archetto ed infine, la fisarmonica di Gianluca Casadei.

In brani come “Noi siamo gli asini” si ha l’impressione di ascoltare uno dei migliori De Andrè, per poi avvertire in qualche modo l’influenza di Giorgio Gaber passando per le atmosfere latino-americane di “La casa del ladro”, in cui la fisarmonica fraseggia con la voce evocando in alcuni passaggi le melodie di Astor Piazzolla. In altri brani la fisarmonica ci riporta alla mente le atmosfere francesi e l’influenza di George Brassens, e si pensa ai vicoli di Marsiglia e a taverne sul porto.  

Un discorso a parte meritano i testi i quali, sebbene montati su una struttura musicale di siffatto livello, trattano argomenti delicati ed importanti come la corruzione, la mafia, il precariato (Parole sante), il disagio mentale e i manicomi (noi siamo gli asini), la guerra, la lotta di classe, il confronto politico destra-sinistra, insomma tutti i temi più cari ad Ascanio Celestini.

Per non perdere l’abitudine e per non dimenticarsi di essere quel grande attore e quel genio della comunicazione qual è, ci regala, intercalandoli nella scaletta musicale, due monologhi straordinari. Il primo si intitola “lo sciopero dei filosofi”  e l’altro “lancia il sasso e mostra la mano”, il tutto senza perdere di vista la recente cronaca politica e regalando quindi divertimento nel divertimento, con le sarcastiche battute fra un brano e l’altro.

Dopo circa due ore di spettacolo, alla richiesta del primo bis, lascia completamente la scena alla sua band che si esibisce in un ottimo brano dall’atmosfera jazz su cui però di tanto in tanto interviene la chitarra elettrica a riportare qualche nota di “sano” rock, ed infine ritorna sulla scena imbracciando una chitarra per divertire e soprattutto per divertirsi, avventurandosi in un altro dei sui monologhi, questa volta però con un sottofondo musicale costituito da due soli accordi (gli unici due che afferma di conoscere, anche se non gli crede nessuno).

Spettacolo nello spettacolo quindi, per questa autentica rivelazione nel panorama musicale italiano, che si presenta con un ottima canzone d’autore sia per quanto riguarda i testi che per il tessuto musicale.

LO SCIOPERO DEI FILOSOFI
di Ascanio Celestini 

Il segretario se ne va dal presidente. “Oggi comincia lo sciopero”, dice. “Nessuno è indispensabile”, risponde il presidente, “chi sciopera? I fornai? Non si vive di solo pane. Mangeremo brioche, come diceva Maria Antonietta. Scioperano i medici? Ci prendiamo ’na mela, ché una mela al giorno toglie il medico di torno. Scioperano i giornalisti? In Italia i giornalisti veri saranno tre… Se si fermano non se ne accorge nessuno. Vorrà dire che salterà una puntata di Report e un paio di articoli sui giornali. Nessuno è indispensabile. Scioperano i teatranti? Ma perché… esiste ancora il teatro? Scioperano i calciatori? Se ne accorgono tutti, ma per una domenica può saltare pure il campionato. I calciatori se ne vanno al mare con le veline. I tifosi faranno a botte gratis da qualche altra parte. Torneranno a casa coi lividi, ma almeno avranno risparmiato i soldi dei bel biglietto. Nessuno è indispensabile”.

“Signor presidente”, dice il segretario, “oggi comincia lo sciopero dei filosofi”.

All’inizio nessuno se ne accorge. Come se scioperassero le pulci sui cani o le carie nella bocca. Poi i filosofi incrociano le braccia davanti ai libri nelle biblioteche e nelle librerie, nelle scuole e nelle università. Incrociano le braccia davanti al pensiero. Senza i filosofi non si può pensare. Gli operai di Torino al funerale dei loro compagni non riescono a capire. Se ne vanno dai filosofi, da Carlo Marx, gli chiedono: “Perché ’sti cinque so’ morti? Perché lavoriamo otto ore al giorno e non bastano e ce ne vogliono altre quattro per portare a casa lo stipendio?”.

Marx gli potrebbe dire che c’è stato un tempo in cui il lavoratore se ne andava al bosco che era di tutti, a prendere un pezzo di legno che diventava il suo, per lavorarlo con gli strumenti che erano suoi, per farci una sedia che era la sua, per venderla a un prezzo che faceva lui ed era un prezzo giusto. Adesso l’operaio va in una fabbrica che non è la sua, lavora con macchine che non può comprare, costruisce qualcosa che non gli appartiene e spesso non sa manco cos’è. “Questa è l’alienazione”, gli direbbe Marx. Che non è una specie di tristezza come nei film degli anni sessanta, ma un trucco del mercato per arricchire i padroni. Gli direbbe che il loro presidente del consiglio era il presidente dell’Iri ai tempi in cui la Thyssen Krupp è venuta a fare la spesa in Italia, ai tempi in cui il governo si svendeva le fabbriche. Che si sono comprati la loro acciaieria per chiuderla, come il proprietario di una macelleria compra la macelleria di fronte alla sua solo per azzerare la concorrenza. Ma non glielo dice perché oggi è il giorno in cui scioperano i filosofi.

In Chiesa a metà della messa comincia lo sciopero. Il prete alza l’ostia e il calice e rimane con le braccia per aria. Pensa: “Che ci devo fare co’ ’sto pane e co’ ’sto vino?” Pure i cristiani non lo sanno e vanno tutti dal Papa. Quello gli dice “credete e basta!”, ma non lo sa il perché. Perché pure il papa ha bisogno dei filosofi. Pure lui senza il pensiero brancola nel buio della fede. Allora se ne va da Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, ma pure da Socrate e i presocratici, da Hegel e Benedetto Croce. Loro glielo potrebbero spiegare che Dio non entra in un pezzo di pane come un manzo in una scatoletta di simmenthal. Potrebbero dirgli che “la fede è una scelta”, ma non lo fanno perché oggi è il giorno in cui scioperano i filosofi.

E pure il fornaio che fa i conti con la matita sulla carta del pane non è più capace di fare due più due perché la filosofia è anche pensiero matematico. E la gente per strada vede il sole che si muove nel cielo e non sa come fermarlo. E i filosofi glielo potrebbero dire che “non si può fermare perché il sole è già fermo!”, ma non lo fanno perché oggi è il giorno in cui scioperano i filosofi.

Allora il presidente col segretario se ne va dai filosofi. “Che volete per fermare questo sciopero?”, chiede.

“Vogliamo tutto, lo vogliamo subito e lo vogliamo per tutti”.

E il presidente non glielo può negare. Il giorno dopo finisce lo sciopero. Lo sciopero dei filosofi, ma non quello dei fornai. “Vabbé, nessuno è indispensabile. Non si vive di solo pane”. E dopo comincia lo sciopero dei medici e ci mangeremo ’na mela. Poi scioperano i trasportatori e in Italia finisce la benzina nei distributori. “Non importa, per un giorno ce ne andremo a piedi!”. Straordinario sarebbe quel paese nel quale i filosofi fossero considerati una categoria indispensabile.